ARCHEO
n. 5, maggio 2010
I libri di Archeo
Brizio Montinaro
IL TESORO DELLE PAROLE MORTE. La poesia greca del Salento, Argo Editrice,
Lecce 2009, 272 pp. 18,00 euro
Questa antologia curata da Brizio Montinaro raccoglie liriche scritte in una lingua proveniente direttamente dalla Grecia classica, e per questo detta «grica», e ancora parlata, in aree sempre più ristrette, del Salento e della Calabria. Una cultura, questa greca, un tesoro o, per dirla con le parole dell'autore, un «monumento che sfugge al senso della vista. Impalpabile, misterioso e ancora più straordinario». Noi diremmo, con termine certo più burocratico, un «bene immateriale», nel senso indicato dalla normativa UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
La scelta lessicale non è casuale, e vuole solo sottolineare quanto l'arte, in questo caso quella «popolare» e sopravvissuta ai secoli, per quanto effimera e scritta su «foglie d'erba», sia anch'essa un «bene culturale», al pari di un'anfora, un bronzo o addirittura un Partenone. Lo stesso Montinaro mette in luce questa idea nell' Introduzione, in realtà un saggio in cui l'origine, la diffusione, la storia degli studi sfumano sapientemente in autobiografia. Perché nella raccolta, inoltre, nascosto tra quella sorta di Lieder schubertiani della grecità migrante, dietro lo stile chiaro come l'aria del Salento, opera un etnografo consumato, al quale già si devono lavori importanti, come San Paolo dei serpenti (Sellerio 1996) e Danzare col ragno (Argo, 2007), solo per citarne alcuni. Infine, in questo breve spazio che non fa giustizia del volume, piace ricordare un'immagine della raccolta, che quasi pare voglia ricapitolare e unire due culture lontane nel tempo e nello spazio, la Grecia e il Salento, e due ambiti, quello letterario e quello antropologico: l'arte del tessere, che ricorre spesso nei narrati greco-salentini. Fu certo un'arte diffusa tra le donne, greche e «griche», ma qui piace
citarla per i rimandi poetici alla maggiore opera omerica, laddove Penelope tesse la sua nota tela. Questa immagine, immutata nei secoli, veicola ancora storie d'amore, perché in Salento attendere al telaio significava, fino a pochi anni fa, procurarsi il corredo di nozze, quindi entrare in età da marito. Ecco allora il canto, molto più simile al canto di corteggiamento degli uccelli di quanto noi possiamo immaginare: «Ho appreso, amore, che hai messo su telaio...».
Claudio Corvino