IN TERRA STRANIERA NON SEI

 

Pochi giorni fa essendo io nel Salento mi è stato donato un libro dal titolo L’eco di Bisanzio. Galatina e la Grecìa Salentina. In queste pagine, fra le belle illustrazioni di Piero Pascali e le didascalie di Daniele  Capone, ho trovato a commento di un’immagine un capitoletto che tratta della Stele greca donata nel 1960 da Atene a Calimera, “capitale” allora della Grecìa Salentina, in segno di una comune origine e di un’antica fratellanza. La stele, col tempo, venne inglobata per la fruizione del popolo in una bella edicola sistemata nei giardini pubblici sulla cui architrave si legge: ‘ZENI ‘SU EN ISE ETTU’ S TI KALIMERA / Straniera tu non sei qui a Calimera.
Questo verso, secondo l’autore del libro prima citato, è stato scritto da Ernesto Aprile.
Non so dove egli abbia reperito l’informazione, ma ovunque egli l’abbia reperita, tale informazione è errata, direi proprio falsa. L’autore, come molti sanno e i più vecchi ricordano, e come più volte richiesto di chiarire ho avuto modo di ripetere, sono io: Brizio Montinaro.
In questa occasione sarò telegrafico nello scrivere il perché,  ma sono pronto tuttavia a dare tutti i ragguagli e le prove del caso a chi fosse interessato a domandarmele.
        Al tempo dei fatti io avevo 17 anni. Ero uno studente del Liceo Palmieri di Lecce. Giannino Aprile, allora sindaco di Calimera,  mi voleva molto  bene, mi stimava. Sua sorella Cinta mi aveva tenuto a battesimo e lui  mi voleva introdurre alla politica. Ricordo che mi regalò allo scopo un libretto che ancora conservo con stampato in forma ridotta il Manifesto del partito comunista.
Quando la cassa contenente la Stele greca arrivò a Calimera proveniente da Atene Giannino mi invitò in Comune ad assistere all’apertura del grande tesoro. Voleva che anch’io partecipassi all’evento eccezionale. Eravamo tutti eccitatissimi. La mia emozione nel vedere la stele in marmo di Paros con in bassorilievo le due figure che si davano la mano fu tale che, una volta ritornato a casa, presi penna e carta e,  seguendo il flusso dell’emozione,  composi una poesia dal titolo In terra straniera non sei… Una semplice,  quasi ingenua poesia che, però,  conteneva una rilevante intuizione piena di affetto. Di  devozione, quasi. Eccola

In terra straniera non sei


In terra straniera non sei…
Perché triste tu sei
stele marmorea?
Lontan dalla Patria
forse ti senti?
I nostri canti per te son lamenti
e stranieri sembriamo tutti, ahimé!
Ma non sai, o muta,
che siamo parenti di Grecia,
che abbiamo per lingua
la stessa tua lingua?
Se dici “filia”
“filia
” noi diciamo,
se dici “cardìa
cardìa” ripetiamo.

E tu, giovin,
che passi guardando
se triste la vedi
di’salutando,
se il sole risplende:
“A te calì eméra”
e se scende la sera
non ti sia caro
un cordial:
“Calì spera”.
E te, o marmo,
che di Grecia contieni il sapere
il nostro salve
del calor di una fiamma
possa scaldare,
come un bimbo la mamma
ed in greca favella
ti faccia parlare
ché in terra straniera non sei…


Tempo dopo, quando si trattò di sistemare in luogo pubblico la stele includendola in un tempietto, mi si chiese di tradurre in grico il verso della mia poesia onde venisse inciso sull’architrave. Il “saluto”  era piaciuto a tutti quelli che avevano letto i miei versi che Giannino Aprile, primo lettore,  si era precipitato a diffondere tra gli appassionati e gli “intellettuali” di Calimera.  
Era un’impresa difficile tradurre perché il grico non dava la possibilità di trasporre decentemente tale verso nella lingua da noi parlata, e allora escogitai, per facilitarmi la traduzione, di modificare lievemente il verso da In terra straniera non sei… a Straniera tu non sei qui a Calimera. In questo modo mi pareva rimanesse saldo il concetto e anche la rassicurazione alla stele. Era più facile. A quel punto unico problema era tradurre la parola “straniera”. Nel grico parlato a Calimera all’epoca il termine non esisteva. Forse lo aveva usato l’ellenista calimerese Vito Domenico Palumbo. Chissà! Il Vocabolario dei dialetti salentini di Rohlfs non era ancora disponibile. Scoprii poi che anche lo studioso tedesco che  riportava il termine tra i lemmi del suo  Vocabolario dubitava dell’uso quotidiano anche se la presenza era testimoniata in un testo di uno dei Lefons, forse importato in modo artificiale dall’alto. Allora chiesi consiglio ai vecchi. Niente. Nessuno conosceva un termine per tradurre la parola “straniera”. Lo chiesi anche a Maria Rescio, amica carissima e archivio vivente del grico e della poesia popolare e colta di Calimera. Niente. Io, come ho detto, allora ero uno studente ginnasiale, cercai quindi la parola “straniero” sul vocabolario Rocci: ξένος, e la grecizzai al femminile nella forma grica che ritenevo più corretta: ‘ZENI. La ξ così divenne una doppia zeta. Era un azzardo per chi si intende di grico. L’esito della ξ nel nostro dialetto era fs quindi avrei dovuto scrivere “fséni” e non “ ’zeni”,  dove l’apostrofo indica la caduta di una Z. Da allora in poi la parola incisa nel travertino divenne nota a tutti, anche se difficilmente usata nel parlato quotidiano.
Basterebbe solo questo episodio per affermare, senza ombra di dubbio, che quello che io ho fatto, il procedimento che io ho adottato,  è il sicuro “testimone” che attribuisce a me e solo a me la creazione del testo. Inoltre, a quel tempo, pretesi giustamente, assecondando il mio carattere schivo e i miei sentimenti, di non firmare il verso inciso sull'architrave perché la frase non doveva essere di uno solo, cioè l’autore, ma anonima, e cioè di tutti i grichi e non grichi che da lì si trovavano a passare e che si fermavano a guardare e leggere, non di un ladro di idee e di altre cose come si è rivelato essere Ernesto Aprile.
Al  tempo ci fu per la verità anche un altro calimerese “poeta” che all’epoca tentò di appropriarsi della paternità del verso (Pippi Lefons) ma lo affrontai subito e siccome era una persona rispettabile non ci provò più.
Mi dispiace di doverlo ribadire ancora una volta ma questa è la sola verità. Verità che naturalmente fui costretto a dire anche al sedicente autore quando era ancora in vita. E infatti, da allora in poi, evitò accuratamente di incontrarmi.
I ladri di idee sono i peggiori. Una volta scoperti mostrano la ricchezza del derubato e la miseria di idee del rubante.
            Errata corrige!
 


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