RICORDARE MARIA CORTI A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA

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Giusto dieci anni fa. Rientrato a casa dopo una settimana di assenza da Roma e pigiato il tasto della segreteria telefonica per sentire i messaggi di chi mi aveva cercato la prima voce che ho sentito è stata quella di Maria Corti. Era una voce fragile, un po' debole che è diventata sempre più decisa nel corso della telefonata durata più di cinque minuti. Aveva bisogno di un mio consiglio in quanto mi riteneva esperto del lamento funebre, tema sul quale effettivamente avevo condotto una ricerca (sotto sua sollecitazione) e pubblicato un libro. Nel corso della telefonata mi ha esposto un suo progetto per un lavoro da scrivere. Voleva sapere da me in particolare quale fosse il punto di vista della prefica nel cantare le lodi e la storia del defunto, nel produrre il suo "canto di pianto". Era intenzionata a scrivere, mettendosi al posto della lamentatrice funebre, la storia di dieci sfortunate donne morte per una passione d'amore. Voleva cantare, a suo modo, l'ardente passione della Baronessa di Carini, di Pia de' Tolomei, di Francesca da Rimini, della poetessa Isabella Morra uccisa dai fratelli per una sua presunta storia d'amore ecc. ecc. Non voleva comporre dei racconti biografici. Ce ne erano già. Voleva scrivere dei veri e propri "canti di pianto" in prosa per ricordare che l'amore può essere molte volte motivo di morte. E lei lo sapeva bene...
La richiesta di Maria mi lasciò interdetto e  incuriosito. Mi riempì di orgoglio e di vera e propria felicità. La mia maestra e amica, alla sua venerabile età e con tutta la sua esperienza riconosciuta a livello mondiale, si rivolgeva ad un suo ex povero allievo  per avere da lui qualcosa di quello che a suo tempo forse gli aveva donato. Un lume.
Anche questo sapeva essere Maria Corti.
      L'avevo incontrata la prima volta all'Università di Lecce come studente di Storia della lingua italiana. Lei, vincitrice di concorso, era appena arrivata presso l'università salentina. Avevo letto L'ora di tutti con molta trepidazione. Ricordo con estremo piacere le sue lezioni magistrali sull'espressionismo linguistico. Su Gadda (La cognizione del dolore), su Pasolini (Una vita violenta), sul Ruzzante. Ricordo la sua autorevolezza, il suo fascino intellettuale, la capacità di stregare gli allievi. Era irresistibile! La amavamo tutti. Noi che l'avevamo conosciuta così da vicino capimmo molto bene, un po' di anni dopo, il significato profondo e un po' autobiografico del suo Il canto delle sirene.
      Giravo in quell'anno, era il 1964, il film Il tramontana. Per un po' di giorni le riprese si svolsero ad un passo dagli edifici dell'università. Qualche volta, mi ricordo, per non perdere la lezione, andavo in aula vestito da frate come il personaggio che stavo interpretando, tanto nessuno mi conosceva. Usavo le pause di lavoro e non sempre dunque potevo seguire la lezione per intero. Una volta, con il saio addosso e la tonsura pronunciata da novizio, mi alzai dal banco mentre la Corti ancora parlava. Stavo proprio per abbandonare l'aula, furtivo e rosso dalla vergogna, quando lei interruppe per un attimo il suo discorso. Silenzio assoluto. Io mi bloccai come fulminato. Mi voltai a guardarla. I nostri occhi si incontrarono per qualche secondo. Vidi nel suo sguardo un forte rimprovero poi una sospensione, un assenso e quindi rinfrancato corsi via a riprendere il mio posto sul set. La ritrovai a tu per tu qualche mese dopo in sede di esame.
Quest'episodio fu raccontato da Maria in più occasioni: in alcune interviste a giornali ad esempio, a Pavia dopo un mio recital all'università lo raccontò a Cesare Segre ecc. Era divertente il racconto del fatto dal suo punto di vista. Tutte le volte che la Corti voleva descrivere il suo rapporto con gli studenti di Lecce raccontava questo episodio che ormai si era cristallizzato in un vero e proprio exemplum.
Tra questi due margini composti dalla lezione abbandonata nel '64 e dalla telefonata del 2002 per raccontarmi il suo progetto si è sviluppata tra noi un'amicizia bellissima, appagante, che mi ha riempito per un certo tempo la vita.
Lei per me era diventata un faro. Un punto sicuro per l'orientamento. A proposito, ce ne sono ancora di persone così?
      Era una donna straordinaria. Fondamentalmente sola direbbe chi l'ha conosciuta poco, ed invece la sua vita era popolata oltre che dai suoi tanti studenti da una folla di personaggi già presenti nella storia della letteratura o ancora lì che premevano nella sua mente per nascere e finire nelle pagine dei suoi romanzi.
Lei ci ha insegnato in che consista la felicità mentale.
Per gli allievi che avevano conquistato la sua stima lei faceva di tutto. Per me, quando mi trasferii presso l'Università di Pavia vivendo a Roma, presentava addirittura gli statini per gli esami.
Intellettuale severa, rigorosa, aristocratica sapeva essere anche donna dolce ed estremamente femminile. E' così! Ricordo che una volta a Milano lei aveva appena finito di fare una conferenza ed io le andai incontro per congratularmi: "Lascia perdere - mi disse nell'orecchio - Dimmi invece come mi sta questo vestito nuovo".
Ritorniamo alla chiamata telefonica iniziale. Appena finii di ascoltare i messaggi registrati chiamai a casa di Maria, al suo numero di Milano, per rispondere a ciò che mi aveva chiesto: il punto di vista della prefica nei rèputi grichi. Una voce femminile mi disse a fatica, tra le lacrime, che la professoressa Corti era morta durante la notte.
Sono passati dieci anni dalla sua scomparsa e quel vuoto che Maria mi ha lasciato andandosene non è stato  colmato mai più. Da nessuno.
Ciao Maria.


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