CIAO THEO... La morte di Theo Angelopoulos

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Theo Anghelopulos sul set di O Megalèxandros

 

Cosa devi perdere ancora, Grecia?!
Ora hai perso anche il tuo ultimo grande poeta, la voce che ti sapeva così ben raccontare, il cantore della tua storia e delle tue sofferenze, il maestro che con occhio profondo scandagliava l'animo umano.
Quando muore un poeta il mondo si deve inchinare come un albero pieno di frutti. E per un poeta del cinema le immagini sono i suoi frutti. Danno senso alla sua opera e ci nutrono.
Le tue, Theo, non le dimenticheremo mai. Ora rimarranno nella dispensa per nutrire quelli che verranno, se avranno fame di poesia.
Ed io, cosa devo dire per me?
Con Theo è scomparso brutalmente un pezzo della mia vita. Così, all'improvviso. Così come improvvisamente deve essere piombata addosso la moto che a Theo la vita gliela ha presa tutta.
Un poeta, un genio non può finire così! Non ne nascono molti. Un secolo ne può contare tanti quante sono le dita di una mano.
Non può una moto essere un'arma così micidiale e stupida. E invece è così... e noi tutti ora rimaniamo privi di un uomo che quando incontrai per la prima volta in casa di Laura De Marchi e Norman Mozzato con il suo fascino mi aveva stregato all'istante. Era un incantatore. La voce suadente di Theo, bassa e vellutata, era una musica alla quale non si poteva resistere. Non potrò dimenticarla mai più.
Il nostro primo incontro, lui tornava dal Festival di Berlino dove aveva avuto modo di vedere ed apprezzare Circuito chiuso di cui ero uno dei protagonisti, durò ore e ore. Alla fine mi chiese se volevo lavorare con lui. Aveva annusato in me un altro greco, mi aveva riconosciuto, scoperto. Aveva capito l'amore profondo per la Grecia di un italiano di Calimera, la Grecia del Salento.
Alla sua richiesta rimasi senza fiato, non riuscivo a dirgli di sì tanta era l'emozione. Era il regista di O thìasos (La recita) e non gli si poteva dire di no! Mi aveva prospettato di lavorare in un film difficile. Non c'era denaro e bisognava girare in condizioni estreme. Le ho poi raccontate nel mio libro Diario macedone. Mi aveva prospettato un'avventura, un percorso a colori nel mondo piatto e grigio del cinema italiano del tempo.
Fu un'esperienza professionale e umana straordinaria, nel bene e nel male. Sei mesi eccezionali che ora entrano a viva forza nella zona immortale dei ricordi, dove nessuno può mettere mano.
Ricordo le nevi del Pindo, il gelo di Macedonia, la fame, l'entusiasmo per un piano sequenza di dieci minuti ben riuscito, le notti stellate di Dotsikò, i silenzi, i canti, i cori che ci tenevano uniti, Fivi, Yorgos, Eva... e poi il trionfo al Festival di Venezia, il Leone d'oro per O Megalèxandros, i canti di quella notte felice sul pontile dell'Hotel Excelsior con la musica di Theodorakis e i versi di Odisseo Elitis.
Grazie Theo.
Preso dalla nostalgia ti avevo scritto una mail solo pochi giorni fa per riprendere un vecchio nostro progetto.
Ora rimarrà per sempre senza risposta.


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