La Repubblica
Martedì 10 Marzo 1981
Spettacoli
"La morte di Niobe" di Alberto Savinio per due soli giorni al Delle Arti di Roma
Ma com'è bella l'Intelligenza!
di RODOLFO DI GIAMMARCO
A NOI SPETTA il rendiconto di un avvenimento teatrale quasi storico, una di quelle serate che hanno il sapore della ristampa inedita, dell'imprevisto, dell'unicità. Nella misura di un <<divertimento>>, occorre precisare, per far salva l'ostilità saviniana verso ogni pedanteria. Dunque al Teatro delle Arti, a conclusione della rassegna <<Musica e Teatro negli anni Venti>> promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Roma col patrocinio del Teatro dell'Opera e il coordinamento artistico di Gioacchino Lanza Tomasi, Lorenzo Salveti e Paolo Terni, su un palcoscenico di oggi, dicevamo, s'è allestita La morte di Niobe che si definì tragedia mimica in un atto con musica, opera per l'appunto di Alberto Savinio e interamente sua tranne la scena (qui riprodotta) sul bozzetto che fece allora Giorgio De Chirico.
Allora s'intende nel '25, in occasione dell'unica messinscena che corrispose al debutto provocatorio, grottesco, un misto di balletto e pantomima in musica che farebbe pensare all'equivalente in termini di animazione della poesia di Apollinaire, farebbe pensare agli archetipi familiari trasformati in Mito ma soprattutto al bizzarro concetto che Savinio esprimeva della <<metafisica>>, vale a dire un accostamento imprevisto di suoni e voci.
E' solo una sintesi dei possibili rinvii da approfondire perché in realtà la mezz'ora abbondante, non più, di spettacolo desta progressivamente un incanto a mezzo tra dissacrazione e rêverie, ampio merito anche della caricaturale e smaliziata regia di Lorenzo Salveti. Il quale ha saputo far minuettare in ritmi e rovesci gustosi (per altro fedelmente dettati dalle note mimiche di Savinio) tutta una serie di manichini equestri, fantasmi danzanti, laici e intonacati, sagome borghesucce, parodie materne e filiali con in più un bagaglio di mitologie da operetta.
E non è poco, perché escludendo il coro e gli orchestrali si contano almeno una quindicina d'attori a cui sono assegnati i ruoli più disparati. Ad uno di loro spetta di far da statua; l'altro raffigura un personaggio nero, specie di illusionista in frac che tutto vede e tutto pare manipolare, o almeno spiare; e sono di scena anche signore smancerose, mariti prepotenti, vecchioni panciutissimi, beghine, forzuti che girotondano dopo che un piccolo stuolo di pretini marcianti come esercito è stato messo in fuga da strane creature femminili <<Frate Rosso>> di Palazzeschi.
Ma il <<clou>> è rappresentato ovviamente dall'ingresso di Niobe, quella Niobe che la leggenda vuole mitica generatrice tanto invidiata da essere privata della numeroso prole e rimanerne paralizzata dallo choc. Savinio la descriveva coi tratti gallinacei, la stazza di una tacchina e Maria Grazia Grassini ha davvero un portamento da pennuta madre dei Gracchi, che stende le ali-braccia sulla comitiva dei figli, i Niobidi, che sono tre, tre amorini crinuti di bianco come la mamma, allineati come se fossero dal fotografo o al premio-del-bambino-più-buono, nutriti dallo sguardo insuperbito di una Niobe matrona, ciondolante nella staticità tipica delle <<poltromamme>> care e ritratte da Savinio, tant'è che qui c'è sul serio una poltrona a ridosso del gruppo di famiglia.
Poi s'apre una finestra dal cielo marino di De Chirico, un cielo sormontante una piazza, una chiesa e il comignolo d'ina nave, e dalle persianine del fondale Apollo e Diana prendono di mira con l'arco i Niobidi per liquidarli e stenderli uno dopo l'altro. Con poesia, precisione, magia. La matriarca si dispera e mima ogni genere di cordoglio laddove i <<tempi oscuri>> convincono una masnada di comparse a munirsi di ombrellino infantile prorompendo in una baraonda finale alla Otto e mezzo.
Il fatto mimico dovette valere e vale certo come raffinata burla ai danni dell'universo pagano ma chi conosce Savinio può capire quanto v'è di buffonesca denuncia contro il decoro della società moderna. Un teatro in musica che ci insegna una vivezza, ci segnala l'avanguardia in un momento di grazia. E a proposito di grazia, quanto sollievo (e nascosto d'umorismo) era nei costumi color del sole, delle nuvole, nei vestiti muffi e in quelli madreperla ideati tutti da Santuzza Calì! Oltre alla Grassini presenziavano tra gli altri Brizio Montinaro e Piero di Iorio. Ma il successo postumo di Savinio ha un nome e una protagonista fuori programma, l'Intelligenza.