Messaggero veneto

09 Marzo 1977

Saggi in volume di Brizio Montinaro

Un'indagine sociologica della penisola salentina

La conferma che certe preziosità bibliografiche ci vengono dalla provincia trova riscontro ancora una volta in un volume di Brizio Montinaro, edito da Longo di Ravenna: Salento povero. Uno studio cresciuto su diversi interventi critici e sociologici sulla terra, sugli usi, sui costumi, sulle tradizioni del Salento effettuati dall'autore in tempi diversi e confluiti poi in questo testo dopo aver visto la luce su riviste qualificate e su quotidiani.

Che cosa ci sottopone Montinaro in questo volume che già non sia stato detto sulla terra salentina?

E quale singolarità esso racchiude, se l'editore Longo l'ha voluto nella sua collana di storia e costumi pugliesi?

Rispondere a queste domande è facile se si pone attenzione alla cura, alla forma, alla struttura dei saggi raccolti nel libro: saggi che si leggono con alacrità ma che sono rigorosamente concepiti come studi sociologici di tutto rispetto. E quindi varrà sottolineare la materia trattata, scelta con cura dell'autore affinché il volto del Salento scaturisca sia dai confronti che dall'analisi delle novità in senso generale, valide per ogni paese e per ogni provincia, ma che tuttavia denunciano un costume e una tradizione applicabili a ogni zona paesana dell'Italia.

Montinaro inizia con la scelta d'una festa rappresentativa com'è quella del "bruscello", di origine toscana, consistente un una rappresentazione popolare dialogata intorno a un arboscello, che nella zona di Lecce si capovolge e diviene soltanto manifestazione religiosa che cade nel giorno di San Lazzaro, con contenuti religiosi di resurrezione, di crescita, e con un testo - chiamato appunto "di San Lazzaro" - che si contrappone alla lauda recitata intorno al "bruscello" nelle regioni toscane. L'analisi delle laude diffuse nel Salentino continua anche nel terzo capitolo e ne è data notizia - sia nelle diverse stesure che nei diversi aspetti - in un'appendice al volume.

Ma i saggi più propriamente sociologici Montinaro ce li fornisce nella trattazione dei costumi e delle tradizioni del Salento, là dove affronta il tema della "tarantata" e dello svuotamento di significato che un avvenimento e una manifestazione singolare, com'è appunto quella della tarantata, ha subíto a opera del tempo e dell'evoluzione. Le tarantate - donne fra i trentacinque e i settant'anni - vestono ancora candidi abiti, lunghi camicioni che arrivano sino alle calze bianche verginali, e che, condotte in cappella, si agitano scompostamente, morse dal male misterioso; ma oggi - dice Montinaro - questi ossessi più che a San Paolo ricorrono allo psicanalista, mentre la processione, il rito, il senso della "tarantata" hanno acquisito uno scopo del tutto mercificato.

Ed è da questa osservazione che scaturisce, nella ricerca del Montinaro, una nuova apertura, una nuova dimensione della sua indagine: il riscontro della morte del "sacro" nelle popolazioni investite dal falso progresso sociale. Quella parte di magico, di credenza popolare, che costituiva una cultura popolare è stata soppiantata da un fittizio uso, da un'inesistente religiosità: così che queste tradizioni, anziché essere esercitate e professate dal popolo, diventano appannaggio della borghesia, che nei riti magici e nella stregoneria ricerca non l'emozione d'un lenimento della pena e della tribolazione, ma l'effabilità di un gioco e di una mascherata.

Giancarlo Pandini