La Repubblica

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Martedì 28 Dicembre 1999

Cultura

In scena nei teatri di Parigi e Londra i "Canti di pianto e d'amore" nella lingua dell'antico Salento

Se il "grico" diventa musica

di MARIA CORTI

C'era una volta una prestigiosa collana letteraria Nuova Corona a cui una sbadata editrice Bompiani chiuse imprudentemente la porta in faccia. Il n. 25 della collana conteneva una raccolta di testi grichi: Canti di pianto e d'amore dell'antico Salento, a cura di Brizio Montinaro, volume che sta vivendo un momento di mirabile attualità al Royal Festival Hall di Londra e al Théâtre du Chatelet di Parigi. Informiamo il lettore che a tutt'oggi l'area salentina in cui sopravvive, se pure in pericolo, la parlata grica (antica lingua greca arcaica o bizantina a seconda dei linguisti) è costituita da Calimera,Sternatia, Corigliano, Martano, Zollino, Martignano e Castrignano dei Greci. E' malinconico pensare che agli inizi del secolo il patrimonio dell'oralità grica apparteneva anche a Sogliano, Cutrofiano, Cursi, Cannole, Carpignano, Caprarica e che nei secoli passati l'intero Salento dava segnali di cultura bizantina.

Ricordo che Giorgio Manganelli in un articolo della Repubblica (15 settembre 1989) recensendo il mio Canto delle sirene si domandava se l'aggettivo grico contenesse per caso un refuso in luogo di greco, dato che nessun vocabolario consultato lo illuminava, finché trovò il Battaglia che glossava: parlata greca della zona otrantina. Questi canti che hanno attraversato i secoli col lamento epico di generazioni lontane riproducono una ritualità arcaica, che contempla la fusione di recita, gestualità e melodia funebre, in una dimensione squisitamente teatrale, dove protagonista è la Morte, in greco Thanatos, preceduta dalle Moire o Parche, dette anche Sorti, che filano l'esistenza umana e ne segnano la fine. Costante è il dialogo fra le entità funebri, il morto, la prèfica che recita il canto o réputo, e un familiare del morto. Motivo dominante è quello di un lungo viaggio verso il paese straniero, l'oltretomba, dove è sempre silenzio e <<tutto è notte buia>> (panta nifta scotinì) come nell'oltretomba omerico.

A questi canti funebri si è rifatta l'esecuzione londinese del noto maestro Brian Elias intitolata Laments, opera sinfonica per orchestra, coro e solista, eseguita dalla Bbc Symphony Orchestra, diretta dal maestro Tadaaki Otaka; solista per la mezzosoprano Catherine Wyn-Rogers. Naturalmente Brizio Montinaro, attore di cinema e di teatro con grandi registi cinematografici (Miklos Jancso, Luigi Comencini, Alberto Lattuada, Theo Anghelopulos) e teatrali (Franco Zeffirelli, Lorenzo Salveti), oltre che scrittore, fu certo una ninfa Egeria per pronuncia ed esecuzione nei riguardi degli artisti londinesi. Immagino che cosa sia stato di suggestivo l'esecuzione del famoso réputo di cui diamo solo la prima strofa per il lettore ignaro dei magici suoni: <<Mila, mila dodeca / cidogna decatria / ta dìome u pedìomu / na ta pari es tin fsenia>> (<<Mele, mele dodici, / e tredici cotogne / daremo a mio figlio / che le porti nel paese straniero>>).

Il libro Canti di pianto e d'amore ha stimolato la fantasia di altri artisti: a Parigi è appena andato in scena al Théâtre du Chatelet l'opera Outis di Luciano Berio, di cui leggo:<<Dai cinque cicli che compongono Outis affiorano frammenti di storia già dette e di viaggi già realizzati, da Omero a Catullo, da Auden a Brecht, da Joyce, Melville, Sanguineti, Celan>>. Tra i vari frammenti poetici ecco versi in grico tratti dal libro di Montinaro, scelti da Dario del Corno. Nè mancano studiosi e scrittori che abbiano attinto a questo mirabile incontro poetico di idee sacre, pagane e cristiane (Camporesi, Catenacci, il poeta greco Vassilis Vassikechaioglu, Cotroneo).

Ben si addice ai Canti un aforisma di Maurice Blanchot in L'écriture du désastre: <<Morire è, in termini assoluti, l'imminenza incessante attraverso cui tuttavia la vita permane desiderando. Imminenza di ciò che è già sempre passato>>.