Il Manifesto
venerdì 23 aprile 1982
Un'Orgia per rieducare l'orecchio
Il testo di Pasolini recupera la parola sull'immagine. In scena a Roma con la regia di Salveti
ROMA. (g. cap.) Un altro spettacolo, come La vita quotidiana di Rilke, che nasce a teatro ma con la precisa finalizzazione del sistema bibliotecario comunale. E' Orgia di Pier Paolo Pasolini, prima parte di un progetto che prevede la messa in scena del voltairiano Zadig e del Tristeram Shandy ad opera del Teatro-Studio diretto da Paolo Terni e Lorenzo Salveti. Non a caso luogo della rappresentazione è il contestatissimo teatro dell'Orologio, la cui sede è proprio sotto la biblioteca comunale centrale. Ma la maggior valenza <<letteraria>> dello spettacolo è proprio nel testo e nel modo di metterlo in scena.
L'azione si svolge tutta in un contenitore bianco candido ideato da Bruno Buonincontri, un grande parallelepipedo che ha sulle tre pareti la panca per gli spettatori. Sulla quarta una prospettiva di porte si restringono una dietro l'altra. In questo interno ossessivo, dal vago sapore manicomiale, o forse addirittura di Stammhein, un uomo, la moglie, un'altra fanciulla sua <<vittima>>, leggono, da un libro di Pasolini che hanno quasi sempre in mano, la propria parte.
Dal testo escono fuori così tutte le tematiche e le ossessioni dell'autore, che a causa della loro notorietà rischiano talvolta di diventare luoghi comuni. Il sesso, il rapporto sadomasochistico con la donna, perfino i drammi con la madre, in una escalation di quotidiana e perciò tranquilla violenza. Fino a una epifania di lui in calze e biancheria nera da manuale.
Ma non è tanto questo il fascino dello spettacolo, quanto quella sua riconquista del testo, perseguita con rigore, e accanimento quasi, da regista e interpreti. L'operazione di Salveti è proprio quella di ricondurre lo spettatore a una <<rieducazione dell'orecchio>> attraverso il teatro. Le parole dello scrittore acquistano per questo uno spessore insospettato, come solo in un caso finora erano riuscite ad avere sulla scena (ed è ovviamente il Calderon del Laboratorio di Prato). Quella rabbia e <<perversione>> montante, e accettata, ha una sua lucida naturalezza, che fa combaciare il sublime col massimo dell'abiezione.
Il pubblico da parte sua, coinvolto lì quasi fisicamente, data la vicinanza, con gli attori (tutti eccellenti, Brizio Montinaro, Maria Grazia Grassini e Francesca Codispoti), non è voyeur ma partecipe della macchina mostruosa ma anche nei suoi momenti di maggiore durezza e stanchezza. Mentre la violenza sempre più aggressiva del protagonista (con una bella componente autopunitiva) rende giustizia a un Pasolini considerato allora profeta di sventure, rispetto a sorti che si volevano un po' per forza magnifiche e progressive.