Intervista a Brizio Montinaro di Sergio Torsello, da Nuovo Quotidiano di Puglia, Mercoledì 9 Luglio 2014:
“Ho dedicato gli ultimi anni ad una ricerca nelle biblioteche di mezza Europa. E sono venute alla luce circa duecento opere (articoli, saggi, dissertazioni) poco conosciute o totalmente ignote agli addetti ai lavori. Sono convinto che bisognerà rivedere gran parte della storia del tarantismo dal XIV secolo all’Ottocento.” Così Brizio Montinaro, uno dei maggiori studiosi di tarantismo, personalità di grande spicco nel panorama culturale non solo salentino, annuncia le sue “scoperte” che potrebbero riscrivere interi capitoli della storia culturale del rituale salentino. Quasi un nostos, il suo, un ritorno fedele, a quarant’anni da Salento Povero (1976) e dopo opere come San Paolo dei serpenti (1996), una pietra miliare nella letteratura postdemartiniana, e Danzare col ragno (2007), molto più di un raffinato libretto di un fortunato spettacolo teatrale. “Molti testi sono ancora in traduzione, ma le novità sono tante”, aggiunge Montinaro. “Dai riflessi del tarantismo sulla letteratura colta, fino al dibattito ottocentesco su riviste internazionali come Allgemeine Musikalische Zeitung, Gazette Médicale de Paris, Boletin de Medicina di Madrid”.
Nonostante la sterminata produzione saggistica degli ultimi anni la ricerca bibliografica sul tarantismo riserva ancora sorprese. Sembra davvero una “tela infinita” di scritture.
Non parlerei di “sterminata produzione saggistica”. Si è scritto molto di tarantismo, anzi di “taranta” e questo vuol dir tutto. Ma fatte alcune eccezioni non ricordo testi che abbiano fatto avanzare la conoscenza che si ha del fenomeno. Quella recente è in larga parte una letteratura prodotta da autori che, per età o distanza dal Salento, non hanno mai visto le tarantate. Stupiscono le fantasiose certezze che esprimono. Sono autori sedotti da frasi, parole e locuzioni tratte da La terra del rimorso.
In che senso?
Ci sono parole che hanno in sé un grande fascino. “Quello che ci desta una folla di rimembranze dove il pensiero si confonda, è sempre piacevole”, scrive Giacomo Leopardi nello Zibaldone. “Notte”, “notturno”, “antico”, è sempre Leopardi, sono parole che rievocano idee indefinite, non determinabili. Sono parole poetiche. E perciò attraenti. Pensiamo all’uso che la pubblicità ha fatto del termine “antico”. E’ accaduto così per alcune parole tratte dall’opera di de Martino di cui si è impossessata una folta schiera di scrittori di tarantismo: “esorcismo”, “magia”, nesso “coreutico-musicale”, “possessione”. Solo che il tarantismo non è poesia. Le suggestioni della terminologia demartiniana hanno portato alla confusione chi, senza strumenti critici e disciplina scientifica, in questi anni si è occupato di tarantismo credendo di occuparsi di innocue questioni di folklore locale.
L’editore Squilibri annuncia tre suoi nuovi lavori sul tarantismo. Cosa c’è ancora da dire sull’argomento?
Ho discusso con Mimmo Ferraro dei materiali emersi nella ricerca. Gli ho illustrato i contenuti di tre opere e mi ha offerto di pubblicarle con la sua casa editrice. Inizierò con un manoscritto inedito dei primi del Settecento. E’ molto interessante e indica la via dell’unica ricerca ormai possibile sul tarantismo. Quella di un’approfondita indagine storica che riveli il senso che il fenomeno ha avuto nella società attraverso i secoli, la mentalità di coloro che l’hanno vissuto sulla propria carne (contadini, paesani) oppure l’hanno affrontato sul campo (medici, scienziati) e descritto in dissertazioni o trattati.
Nel ‘61 La terra del rimorso passò quasi inosservata nel Salento. Lei è stato tra i primi a citarla. Qual è il suo rapporto con la monografia demartiniana?
La terra del rimorso come Il nome della rosa di Umberto Eco sono libri celebri che pochi hanno veramente letto. Ho amato moltissimo La terra del rimorso per la sua struttura, le qualità letterarie e il fascino della parola demartiniana. Poi sono passati gli anni. Sono diventato amico di Annabella Rossi, di Maria Corti e del grande storico delle religioni Alfonso di Nola. Ho fatto altro. In tutto questo tempo ho continuato a studiare la cultura del mio Salento che amo fino allo spasimo. E quindi sono tornato nuovamente al tarantismo. Oggi posso dire che de Martino e la sua équipe avevano condotto un’indagine debole dal punto di vista storico. L’enorme diffusione del fenomeno in Spagna gli era quasi del tutto ignota. Aveva strutturato fatti che struttura non avevano, abusato dei simbolismi, cristallizzato l’anima dei tarantati in una formula che non poteva contenerla. Ma io parlo così perché sono seduto sulle spalle di un gigante.
Lei è stato, pur in una posizione “autonoma” rispetto a gruppi e circoli intellettuali, tra i pionieri del folk revival degli anni ’70. Come giudica il recente recupero della pizzica?
Non sono un pioniere del folk revival degli anni ’70. Non intenzionalmente almeno. Di fatto sì. Molti che oggi cantano nei gruppi salentini mi ringraziano per aver messo a loro disposizione un corpus di canti e poesie che altrimenti si sarebbero perse. Tutto questo mi lusinga e mi fa pensare che forse non ho lavorato invano. Oggi la pizzica è diventata un fenomeno di moda e di spettacolo. Promuove il turismo. Entra nel ciclo economico di questa terra. Aiuta i giovani a sfogare con il ballo le loro tensioni. Va benissimo! Ma ricordo a noi salentini che non esiste solo la pizzica in questa terra. Bisogna attraversare i confini. Arrampicarsi e vedere cosa c’è oltre il muro di casa.