Con La speranza di Nello Saito, in onda stasera (rete tre, ore 20,40) si conclude il breve ciclo <<Autori Italiani contemporanei>> a cure di Lucia Restivo con la consulenza di Dante Cappelletti. La selezione è avvenuta su un complesso di trecento copioni, mai rappresentati, ed è stata guidata dai premi teatrali distribuiti negli ultimi anni. Premio Flaiano '80 per Un asino al patibolo di Giuseppe Cassieri (trasmesso il 28 maggio per la regia di Giuliana Berlinguer); premio Riccione '78 per Katakatascia di Giuseppe Borrelli, visto il 4 giugno per la regia di Mario Ricci; premio Flaiano '78 per La speranza (regia di Lorenzo Salveti). Con queste tre scelte che, anche se insufficienti per numero sono il primo passo di un'iniziativa che la rete tre intende riprendere e ampliare, i curatori hanno tentato di rispondere all'annosa domanda: l'autore teatrale italiano è assente solo perché non c'è o invece perché non viene rappresentato?
E la risposta dopo questo ciclo è a dir poco scontata: gli autori ci sono e con una problematica che pur non alludendo direttamente a fatti e eventi contemporanei, anzi scegliendo l'astrazione fantastica o di un'epoca lontana, riesce a esprimere il disagio dei tempi, il male d'esistere dei nostri giorni. Nella Speranza, che Salveti ha saputo realizzare con grande rispetto del testo ma anche con quel minimo di libertà che rende viva la letteratura in palcoscenico, i cinque personaggi si muovono ognuno in un suo mondo incomunicabile, in un sogno semplice e, si direbbe, realizzabile. La tragedia è invece tutta nella negazione di questi sogni nel momento in cui vengono dichiarati, come se l'espressione di un desiderio cancellasse implacabilmente la sua concretizzazione. Una commedia statica ma ricca di colpi di teatro tutti interni al linguaggio come accade in gran parte della nostra tradizione.
Gli attori, da Francesca Archibugi a Brizio Montinaro, da Anna Marchesini a Sebastiano Nardone a Marioletta Villevielle, si muovono come statuine da carillon all'interno di un'immobilità che richiama ovviamente la quiete della morte, e stanno miracolosamente in bilico sull'orlo di un'esistenza fittizia e di una fine improvvisa. Ruoli inconsueti e difficili per degli interpreti che devono rinunciare ad approfondimenti psicologici e appiattirsi in sagome esangui senza dimenticare una loro lontana e tragica umanità.
S.P.