Il Messaggero

 
Giovedì 21 Gennaio 1988

 

"La cameriera brillante"
Ad Argentina non si resiste

  di Rita Sala

 

C'è quasi sempre un angelo buono per Carlo Goldoni, dopo tanta ingratitudine e incomprensioni patite in vita, un angelo custode che generalmente impedisce lo scempio contemporaneo delle sue opere. Cioè a dire, anche la "solita" messinscena, con le "solite" garanzie (una distribuzione accettabile dei ruoli, una buona regia, scene e costumi degni di tal nome) può diventare occasione sfiziosa, recupero piacevolissimo delle piacevolezze di un drammaturgo inossidabile. Singolar giustizia del palcoscenico, che il pubblico promuove e il tempo consolida.

Al Parioli è ora in scena, di Goldoni, La cameriera brillante, storiella di repertorio che offre all'autore veneziano l'occasione di far agire in palcoscenico, ancora una volta, l'infallibile personaggio della serva padrona. Argentina, piena di vivacità, di voglia di vivere, di furbizie e di galanterie, è una sorella di Mirandolina la locandiera, come lei incarna la nuova femmina, che cerca itinerari dignitosi nella società maschilista, ma imbevuta di illuminismo; come lei riesce a far navigare, su ritmi di giustizia e di buon senso, Pantalone e la sua famiglia.

Nei panni di Argentina, al Parioli, c'è Lauretta Masiero che, regolata da un'attenta regia (la firma di Lorenzo Salveti), riesce a non scivolare nell'eccesso di leziosaggine così difficile a evitarsi quando si rappresenta il garbo settecentesco. L'attrice, se non è proprio esente da esagerazioni, va comunque dritta al finale in bella disinvoltura, divertendosi un mondo: il che riesce sempre a comunicare al pubblico un opportuno stato di relax. Interlocutori di classe sono il Pantalone di Alvise Battain e l'Ottavio di Brizio Montinaro. Il primo, che ripropone vizi e virtù dell'eccelsa maschera dell'avaro canuto, burbero, ancor libidinoso e più che mai sensibile alle grazie ancillari, offre agli estimatori una esibizione tutta godibile, in cui l'andatura incerta del vegliardo s'accoppia speziatamente con gli sguardi burloni e un po' lubrichi del vecchio in calore. Il secondo, nel ruolo di Ottavio, aspirante genero di Pantalone, è esilarante nel rendere gli attoniti imbrogli del nobile spiantato che vuol sembrare Creso. Attorno a loro, il dinamismo di una compagnia che non si macchia di languori (Marianella Laszlo come Flaminia; Roberta Fregonese come Clarice; Eugenio Marinelli come Florindo). Carlo Allegrini (Brighella) e Raffaele Spina (Traccagnino) meritano un discorsetto a parte, per la sobrietà con la quale tratteggiano, senza impoverirle, le figure dei due servi, per opposti versi fedeli e infingardi, affezionati e traditori, anarchici e subietti.

Gianfranco Padovani chiude lo spettacolo in una scena dipinta, totalmente convenzionale, ma per scelta. E in essa, fra gli oggetti e gli arredi - questi sì naturalistici - Salveti può sviluppare geometrie briose ma non isteriche del movimento, esaltando anche visivamente il gioco dei personaggi, che è la sostanza vera della commedia. Lo spettacolo, per questa somma di motivi, s'ammanta di una sua piccola nobiltà, di un suo valore sommesso ma innegabile, che lascia praticamente senza lavoro l'angelo custode di Goldoni.