Liberazione

15 febbraio 2008

Taranta: la prima musica di Stato

 

di Annamaria Rivera


E’ da un certo numero di anni che si è affermata in Italia la moda del tarantismo, per meglio dire, il revival della pizzica-taranta, che ha dato luogo a un vero e proprio genere, a una miriade di fermenti e iniziative culturali, anche editoriali. Si tratta ormai di una tendenza consolidata che va al di là del Salento e della Puglia: da molti anni in Italia non v’è luogo di aggregazione giovanile in cui una volta o l’altra non si propongano serate o corsi dedicati alla pizzica-taranta. Questo revival, sorto anche grazie all’opera di intellettuali locali e rivelatosi meno effimero di quanto si potesse prevedere, è il frutto della tardiva scoperta di un tarantismo per lo più “senza Ernesto de Martino”, quindi in qualche misura de-problematizzato e de-storicizzato, perfino de-simbolizzato.
All’opera di Ernesto de Martino, grande intellettuale europeo e meridionalista, etnologo che coniugò la ricerca di campo con la riflessione teorica e l’impegno civile e politico in favore del riscatto delle “plebi meridionali”, dobbiamo, infatti, quell’interpretazione del tarantismo in chiave di ”autonomia simbolica” che ancor oggi sembra essere l’unica attendibile. Il tarantismo interpretato da de Martino nella Terra del rimorso (Milano 1961) è un complesso mitico-rituale che, attribuendo al morso di un mitico ragno -la taranta- crisi psico-fisiche ricorrenti stagionalmente e non riducibili a sindromi da avvelenamento né a malattia psichica, prevede una complessa terapia costituita da dispositivi musicali, coreutici e cromatici. Essa produceva l'effetto di far cadere la vittima del morso simbolico (che un tempo era reale) in stato di transe attraverso la danza, a sua volta indotta dai colori, dalla musica e dal ritmo, ossessivo e ipnotico, degli strumenti, in particolare del violino e del tamburo. Tale “istituto culturale” -un rito esorcistico forse d'origine dionisiaca, che si diffuse in un’ampia area del Mediterraneo, ben oltre i confini italici ed anche europei- in Italia si legò tardivamente con la figura e il culto di San Paolo, con la pratica e il calendario liturgici cristiani,  condannandosi così a un progressivo disfacimento e declino.
La premessa è utile a segnalare una pubblicazione recente, d’ispirazione demartiniana, che si sottrae decisamente alle suggestioni della moda, pur essendo destinata a un pubblico vasto. Danzare col ragno. Musica e letteratura sul tarantismo dal XV al XX secolo (Argo, Lecce 2007) di Brizio Montinaro -singolare figura di attore, scrittore, intellettuale- non è un saggio sul tarantismo, ma la trascrizione -impreziosita da illustrazioni, fotografie, testimonianze storiche, partiture musicali- di uno spettacolo teatrale scritto e interpretato dallo stesso autore, con l’accompagnamento musicale dell’Ensemble Terra d’Otranto. Il merito principale del volumetto (che contiene un CD con la registrazione integrale dello spettacolo) è la capacità di coniugare un certo rigore –storiografico, filologico, etnologico- con la piacevolezza della struttura e della scrittura. Montinaro vi ha raccolto alcune testimonianze di eruditi, medici, filosofi, letterati, uomini di chiesa, studiosi: a partire da un brano del Quattrocento fino a una pagina tratta dalla Terra del rimorso.  Insieme a queste,  le partiture originali di motivi musicali, italiani e spagnoli, usati per l’esorcismo della taranta. Queste, probabilmente, saranno una sorpresa per il pubblico dei non-specialisti, che scopriranno “la grande molteplicità di modelli musicali utilizzati per la terapia del tarantismo”, per lo più non coincidenti con la classica tarantella, ancor meno con la pizzica-pizzica: quest’ultima, puntualizza l’autore, era in realtà il ballo usato nelle feste e nei matrimoni. 
E’ una scelta opportuna, data l’assoluta centralità della musica nel tarantismo. Basta ricordare che, secondo una notizia del Seicento, a quel tempo a Taranto i suonatori specializzati, abili nel trovare la musica “giusta”, arte che si tramandavano da padre in figlio, erano addirittura pubblici funzionari, regolarmente stipendiati, onde sollevare i più poveri dalle ingenti spese occorrenti per eseguire il rituale: una precoce anticipazione del welfare state, si potrebbe dire per scherzare, di sicuro più intelligente di tante odierne politiche che vorrebbero abbandonare i ceti popolari al loro destino.