Quotidiano

 
                                                               I "rèputi" raccolti da Brizio Montinaro

                                                       Pianto antico della Grecìa

                                                           martedì 10 maggio 1994
                                                           
                                                                           di ANTONIO MAGLIO

 

Dopo aver letto <<Salento povero>> di Brizio Montinaro, Guido Ceronetti scrisse all'autore: <<I linguaggi non sopravvivono alla sparizione dei paesaggi nei quali furono parlati. Tagliando un albero di ulivo tagliamo anche la lingua di qualcuno, e restano un vuoto e un silenzio>>.

Dice oggi Brizio Montinaro: <<Non posso fare a meno di pensare a queste parole quando torno nel Salento e vedo lo scempio compiuto sulle nostre coste. Il cemento non ci ha fatto solo un danno paesaggistico. Il grico sta morendo anche per questo. Le prefiche sono morte perché non potevano che morire>>.

La lingua grica e le prefiche sono le protagoniste dell'ultimo lavoro di Brizio Montinaro, <<Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento>>, che l'editore Bompiani ha pubblicato nella collana <<Nuova corona>> diretta da Maria Corti. E' un'antologia di <<rèputi>>, le nenie funebri recitate dalle prefiche nella Grecìa salentina, e di componimenti amorosi. La caratteristica (o la novità, se preferiamo) di questo libro sta nel fatto che per la prima volta un editore nazionale pubblica temi e testi locali, il che si traduce in un salvataggio di preziosi brani poetici che altrimenti sarebbero scomparsi o sarebbero stati relegati ai circuiti angusti dell'editoria di provincia.

In questo lavoro sono i <<rèputi>> (testo in lingua e traduzione a fronte) l'elemento dominante sui canti d'amore. Perché, Montinaro? Risponde: <<Perché di canti d'amore sono piene le antologie; di quelli di pianto, invece, si sa poco. Eppure questi hanno avuto un ruolo fondamentale nella cultura di noi grichi salentini>>.

C'è una dedica, nella pagina che precede l'introduzione: <<A mia madre, grica di Calimera, che mi ha insegnato la sua lingua>>. Sembra quasi la dedica ad un estraneo, eppure è indirizzata alla propria madre. Come spiegare questa contraddizione? Montinaro: <<Mia madre mi ha partorito due volte: la prima mettendomi al mondo, la seconda affidandomi la sua lingua e la sua cultura. Se vogliamo sottilizzare, l'estraneo sono stato io finché non sono diventato grico. E lo sono diventato nella prima infanzia perché in casa mia si parlava la lingua della Grecìa. Ho appreso l'altra cultura a scuola dove ho imparato l'italiano traducendo frasi e sensazioni dal grico. L'italiano ha una lingua e una cultura recenti, le nostre sono millenarie. I lamenti funebri, i 'moroloja', sono più antichi di Omero. Un morto non pianto a sufficienza, non salutato con tutti gli onori, era un morto senza qualità. E questo avveniva prima che il Cristianesimo inaugurasse il suo nuovo ethos della vita e della morte con premi e castighi>>.

Tutto questo è sopravvissuto nella Grecìa...

<<Almeno fino a quando non hanno tagliato gli ulivi>>.

E qual è il fascino di una prefica?

<<E' un personaggio straordinario. O era, perché prefiche non ne esistono ormai più. Le ultime vivevano a Martano, e da esso ho raccolto struggenti canti di pianto, che Maria Corti mi ha spinto a pubblicare insieme ad altri che ho trovato in quasi vent'anni di ricerca. La prefica era una grande attrice, e forse è proprio per questo che io, attore, sono attratto dal suo personaggio. Essa era capace di suscitare una grande emozione, entrava nel dolore e lo trasmetteva usando tecniche precise. Non recitava mai a freddo, insomma, perché era consapevole della sua funzione: onorare il defunto. Il suo pianto rifuggiva dai toni sommessi, era necessaria l'esasperazione, l'unico strumento capace di esprimere la terribile crisi di cordoglio che aveva afflitto la famiglia>>.

Cosa è rimasto di questo bagaglio culturale?

<<Nulla, o quasi. E alcuni libri tra i quali questo che ha l'obiettivo di consegnare al presente ciò che è nato all'alba della memoria. D'altro canto, le prefiche non godevano di grande simpatia. Un po' a causa del Cristianesimo che ha reso asfittiche certe forme ritenute pagane, un po' perché la gente si vergognava di tutto ciò che era diverso dalla cultura alta. Che grande perdita di civiltà e di poesia. Si pensi al mirabile incontro, come dice Maria Corti, di idee sacre, pagane e cristiane, dove l'anima prega la Madonna perché la liberi dal traghettatore Caronte. Si pensi al lirismo di un verso del genere: 'Questi giovani richiedono lacrime, questi giovani devono esser pianti, perché non siano del tutto perduti'>>

Cosa significa essere grico nell'era dell'Europa?

<<Significa capire le cose fondamentali della propria storia. Lasciamo stare le frasi fatte tipo 'riappropriarsi delle proprie origini': sanno tanto di anni Settanta e di sociologia per tutti i gusti. Io dico che non mi serve a niente dire 'sono europeo' se non so di essere prima salentino e italiano e prima ancora grico. Attribuisco anche a questa mia consapevolezza l'aver potuto lavorare con Comencini, Montaldo, Jancso, Pupi Avati e con Anghelopulos che con 'O Megalexandros' ha ottenuto il Leone d'oro do Venezia. Eppure manco da Calimera dal '65. Ma quello che mi ha dato la Grecìa, e quello che mi ha dato mia madre, grica di Calimera che mi ha messo al mondo due volte, è sempre dentro di me. Nel cuore e nella mente>>.