Nella magia del Salento
Dal tarantismo ai lamenti funebri della Grecìa (morolòja) fino al recente libro "San Paolo dei Serpenti"
Il "viaggio di ricerca" di Brizio Montinaro, sulla realtà
arcaica del Salento immutato per secoli e che oggi sta scomparendo, quello
contadino, è iniziato negli anni Sessanta-Settanta da Calimera, suo paese
natale, per toccare l'area della cosiddetta "Grecìa Salentina", comprendente i
paesi dove si parlava il dialetto indigeno, detto "grico", una volta undici poi
ridottisi a nove quindi a sette ed attualmente, con rari dialettofoni
sopravvissuti alla cancellazione per disuso ma con studiosi ed associazioni che
ne curano il ricordo e la storia, a due: Calimera e Martano.
Montinaro ha
seguito la sua pulsione di curiosità ed ha registrato su block-notes quanto
andava scoprendo di usi, costumi, tradizioni non più praticati o in via di
abbandono e su nastri magnetici la riproduzione dei canti d'amore e di dolore
sia in "grico" che in salentino antico. Le generazioni dei decenni più recenti
li ignorano e rifiutano di impararli per un inconscio e malinteso riscatto
sociale, ad essi preferendo il country di Bob Dylan, il rock di Pino Daniele e
il rap di Jovanotti.
La raccolta dei dati e delle registrazioni, fatta per
puro diletto, è diventata ragione di studio, e la "curiosità" folklorica, sulla
strada aperta da Ernesto De Martino, è servita per dismettere i vestiti del
dilettante ed indossare quelli dell'etnologo. Montinaro raccolse i suoi lavori
dispersi in Salento povero (Longo ed., Ravenna, 1976, pp. 126).
La
repertazione, sul campo, dei canti ripresi dalle voci dei superstiti vecchi
contadini "gricofoni" e la loro trascrizione con relativa analisi, ha prodotto
poi le pagine di Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento (Bompiani,
Milano, 1994, pp. 222), libro compreso nella collana "Nuova Corona" diretta da
Maria Corti, la storica della lingua che sin dagli anni Cinquanta aveva indagato
sul "grico", ponendosi, lei milanese con venature salentine, in sintonia
scientifica con gli ottocenteschi D. Comparetti, G. Morosi, V. D. Palumbo e i
novecenteschi ahinoi scomparsi, C. Battisti, O. Parlangeli, G. Rohlfs.
Questo
volume raccoglie i lamenti funebri (Morolòja), il "modo di piangere
controllato" per "facilitare l'allontanamento del morto", "per onorare la
memoria", "per impedire il ritorno", espressi dalle préfiche (in latino répute)
che venivano in genere dal vicinato (in greco ghetonìa), e potevano anche
significare il conflitto tra il morto e Caronte al momento del trasbordo, che si
chiamava Charopàlema, volume antologico, perchè i sessantanove canti
riuniti: di pianto, 42, dei quali ventotto in "grico" e quattordici in dialetto
salentino; e d'amore, 27, dei quali quattordici in "grico" tradotti in lingua e
tredici in dialetto salentino non tradotti, con note esplicative in calce, sono
tratti da testi di M. Cassoni, G. Morosi, D. Tondi, Maria Corti, Irene M.
Malecore, G. Aprile, D. Romano, ma trentasei, sono stati raccolti direttamente
da Brizio Montinaro che si è avvalso, specie per i "lamenti", "dell'aiuto di
Luigi Chiriatti".
Il dilettantismo è superato dal desiderio di approfondire
particolari argomenti incontrati nel corso dell'esame di argomenti generali,
come ad esempio il "tarantismo", punto da cui mosse E. De Martino per la
terra del rimorso, che analizzò <<la festa dei Ss. Pietro e Paolo (29
giugno), quando cioè i tarantati affluiscono dai vari paesi del Salento alla
cappella della guarigione ottenuta durante la cura
domiciliare>>.
Montinaro, nel 1974 era tornato a Galatina per
controllare se essa fosse deserta di "tarantati", come aveva previsto De Martino
nel 1959 e aveva rilevato statisticamente che, salvo una lieve flessione, S.
Paolo era ancora considerato lo "psicanalista" dei tarantati. Si è dato perciò
allo studio della presenza etnologica del serpente e nella sua valenza etologica
nella superstizione di particolare popolazione in particolari territori,
proponendo agli studiosi specialisti ed ai cultori delle credenze religiose,
l'ultimo prodotto della sua ricerca non più dilettantesca.
San Paolo dei
serpenti, Analisi di una tradizione (Sellerio ed., Palermo, 1996, pp. 144),
inserito come 88° volume della prestigiosa collana "La diagonale", con l'avallo
di Alfonso M. Di Nola che conclude l'ampia prefazione, giudicando il
lavoro di Montinaro <<un contributo non approssimato, serio e fondamentale
per le analisi delle dialettiche di taumaturgie di santità che in Francia e in
Italia da molte parti si vanno tentando>>.
Dal racconto di S. Luca in
Atti degli Apostoli, di S. Paolo morso da una vipera senza essere
avvelenato mentre si trovava a Malta, nasce il culto per il santo che diventa il
vincitore di Satana, figurato nella vipera, e il protettore di coloro che siano
morsi da serpenti o dalla taranta, anche attraverso l'acqua di alcuni pozzi
sacri al santo. Questo culto, da Malta si estese in tutta la parte meridionale
d'Italia, specie in Sicilia, in Calabria, in Puglia dove è particolarmente
radicato a Galatina e anche a Copertino, come ha dimostrato Giulietta Livraghi
Verdesca Zain in Tre Santi e una campagna (Laterza, 1995).
La
tradizione paolina, col passare del tempo ha ampliato l'area del suo patronato,
da quello dei serpenti e delle tarante, alla siccità alle febbri maligne, alla
dissenteria, oltre che assegnare una patina di cristianizzazione alle pratiche
magiche antiofidiche e a quelle coreutico-musicali del tarantismo, oltre che
alla sacralità paganeggiante dell'acqua e della terra con qualità medicinali.
C'è infine, un espresso desiderio di conciliare la cultura popolare-folklorica
con quella ecclesiastica-dotta.
Il libro di Montinaro, di dotta ricerca e
vasta bibliografia, mi ha richiamato alla mente una lontana lettura ginnasiale:
Il Voyage autour de ma chambre, nel quale Xavier de Maistre descriveva i
quarantadue giorni di arresti militari assegnatigli nel 1794. A parte
l'immaginazione che lo fece uscir fuori dalla sua prigione, egli descriveva con
precisione scientifica tutto l'aspetto della stanza, fino alla longitudine e
alla latitudine. La Grecìa Salentina, mi è parsa la "stanza" di Montinaro, il
quale è andato via via in profondità nel ricercare le ragioni storico culturali
delle tradizioni e credenze, abbandonando la descrizione in orizzontale di
quelle ormai affidate alla storia del folklore.