L’Unità

Martedì 31 maggio 1994

IL LIBRO. I <<Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento>>

Sud senza resurrezione

Alfonso di Nola

I distanti residui in via di progressiva disgregazione di sette paesi della terra salentina, testimoniano la colonizzazione culturale ellenica avvenuta in un'epoca controversa, che fa risalire il fenomeno alla fioritura della Magna Grecia o lo riporta all'età relativamente recente del dominio bizantino nel Meridione. Sono abitati da un gruppo allofono, ridotto ormai a circa 15mila abitanti, che parlano una lingua, il grecanico o grico, di chiara struttura greco o neoellenica, decisamente modificata dagli imprestiti romanzi e dalle inflessioni pugliesi.

Brizio Montinaro, uno studioso di Calimera, comune grico, è passato attraverso una lunga esperienza di ricerca sulle culture delle subalternità meridionali, ha raccolto dalle fonti o da dirette registrazioni su campo una corona di canti che toccano i fondamentali temi della morte e dell'amore quali sono conservati in quel territorio, precisamente 44 canti di lutto e 27 canti di amore con testo e traduzione a fronte. E ne ha fatto un libro, Canti di pianto e d'amore dall'antico Salento, a cura di Brizio Montinaro, Milano, Bompiani, 1994, pp. 219, L. 26.000.

Tutte le melodie funebri italiane, che furono oggetto dell'opera di Ernesto De Martino, sulla morte e sul pianto rituale, non possono essere considerate sotto il profilo estetico, secondo moduli valutativi fortunatamente superati, ma costituiscono immediati riflessi delle varie situazioni rituali e culturali che l'uomo assume di fronte al dramma del proprio destino. Fortunatamente Montinaro ha dato una lettura antropologica, e non estetizzante, dei materiali raccolti. Essi, nella varietà delle immagini e delle metafore distanti da quelle appartenenti alle nostre culture popolari, costruiscono, fuori della mitologia cristiana, un aldilà di tetri squallori, di funesta tristezza, dal quale il defunto, nei colloqui onirici con i parenti e nei ritmi inventati dalle prefiche, conferma l'impossibilità di fare ritorno e l'inutilità di attenderlo ancora. Nei ritmi di un lamento modulato da una prefica, tra la figlia e la madre, ambedue impersonate dalla lamentatrice, si dischiude il discorso dell'inesorabile separazione, appellandosi alle metafore di un possibile tempo di ritorno: <<Chissà, chissà tua madre in che tempo potrà venire. - Quando tu vedrai l'uomo arare in mezzo al mare. - Chissà, chissà tua madre in che tempo potrà tornare. - Quando tu vedrai l'uomo mietere in mezzo al mare>>.

Molto diversamente nei canti d'amore, esclusivi degli uomini, esplodono degli uomini, esplodono tutti gli incantesimi di una carnale felicità quasi opposta alle cadenze lugubri di un pallido regno governato da Thanatos implacabile. Si tratta di un'opera di notevole valore filologico e poetico che ci manifesta i patrimoni suggestivi delle comunità allofone italiane spesso dimenticate o insufficientemente protette da una valida politica.